Da "THE BRIDGE" - Sonny Rollins -
Simbolismo e realtà sono spesso tra loro fusi, ed il titolo di questo album ne è un esempio, in quanto The Bridge ha molti significati nella vita di Sonny Rollins. Essi vanno da quelli vagamente simbolici, alla completa realtà di un particolare ponte di 1600 metri sull’East River che collega i quartieri di New York con Manhattan e Brooklyn.
Sotto il profilo armonico quest’album è un ponte tra il Sonny Rollins che crebbe velocemente, pur creandosi una solida base fino a raggiungere una posizione tra i sassofonisti del periodo successivo al bop degli anni Cinquanta, e il Sonny Rollins degli anni Sessanta. Questo non è un inutile elogio del significato di questo album, per cui i ponti erano un valico reale; per oltre due anni Sonny sospese i concerti per dedicarsi allo studio, allo sviluppo di nuove idee, per pensare a se stesso, alla propria musica e all’ambiente ne quale suonava e viveva. Tra queste due rive, di ponti ce ne sono molti. Alcuni di loro riguardano la musica, altri invece, implicano relazioni personali, dentro e fuori l’ambiente musicale. Una particolare importanza hanno quelli che riguardano lo stesso Sonny, inteso come uomo che, a differenza degli altri elementi stabili della famiglia, degli amici e di altri musicisti, si muove in un altro spazio indipendente.
Nel mondo della musica, lo shock causato dal ritiro di Sonny, venne inteso come se egli avesse raggiunto un alto livello, encomi dalla critica, e un’approvazione da parte del pubblico così intensamente auspicata dai musicisti, ma che raramente si verifica. Fu quasi come l’annuncio di un lanciatore che dopo una vittoriosa stagione decidesse di ritirarsi per imparare a lanciare.
Nell’articolo apparso nel luglio del ‘61 sul Metronome, una fiction sottilmente camuffata, firmata da Ralph Berton, il ponte, scritto con la "P" maiuscola, riportava il racconto di un assiduo ascoltatore di jazz il quale, ascoltando il sax, narrava di essersi sentito come un passeggiatore solitario sul ponte di Brooklyn, per scoprire che non si trattava di un sogno fantastico, bensì di un musicista che aveva scelto la poco frequentata via pedonale che passa sopra alla strada trafficata per avvicinarsi con serenità a sé stesso ed al suo lavoro. Ciò che accadde invece del supposto incontro magico, fu presto svelato dagli amici e dai fan di Sonny, per i quali c’erano molti indizi celati nella storia di Berton, ma l’idea della struttura era solo del grande, attento e quasi mistico Sonny. La vicinanza del suo appartamento al ponte di Brooklyn avvalora questa tesi.
Era tutto vero, solo che Berton aveva cambiato il ponte; allora, Sonny suonava al Williamsburg Bridge, che di fatto si trova sulla strada in cui viveva. Quando nell’autunno del ‘61 Sonny annunciò il suo ritorno con un ingaggio alla Jazz Gallery nel centro di N.Y., ciò non fu solo uno scoop per un evento musicale di prim’ordine, ma i giornalisti si trovarono per chiedergli il motivo del suo temporaneo ritiro dalla scena, che cosa avesse fatto in quel periodo, e come sempre gli rivolsero delle domande circa il ponte. Le risposte solenni di Sonny che ebbi occasione di leggere negli articoli pubblicati facevano onore all’onesta stirpe di musicisti che calcavano le scene del jazz.
"Sonny se ne è andato per poi fare ritorno", così il mondo della musica ha chiaramente e correttamente riportato. Sostanzialmente, egli volle andarsene da quella realtà frenetica per pensare un po’ a sé stesso e alla sua musica; per pensare veramente a cosa voleva suonare, per trovare il modo di farlo, e per decidere che tipo di vita condurre. Quanto al Williamsburg Bridge, questo gli permise di isolarsi, sia per ritrovare la concentrazione e l’ispirazione, che per la propria privacy, ma non tanto per sé stesso, quanto per gli altri che Sonny era conscio di disturbare con il volume e con quei suoni apparentemente privi di melodia che fuoriuscivano dal suo sax. Sonny ricorda che "C’era ad esempio, una ragazza incinta che viveva in un appartamento vicino al mio; non potevo certo condannarla a sentire tutto il giorno quei suoni, e d’altra parte non potevo rinunciare a far pratica; io non so quali effetti prenatali abbia causato il sax, ma sta di fatto che quel bambino è ora una magnifica creatura felice".
Che relazione c’è tra il ponte musicale ed il passato di successo di Sonny? Quest’album, ovviamente. Si può ben vedere che Sonny non è cresciuto solo come improvvisatore nell’aspetto e nella forma, (e non solo, andando oltre ha superato il lato individuale dell’improvvisazione stessa), ma che ha trovato il modo di portarla a termine. Di particolare interesse è l’abilità del gruppo nel sapersi intendere e venirsi incontro lungo il percorso improvvisativo. Le persone sono state scelte con accuratezza per l’occasione, e le loro prove sono state molteplici al fine di raggiungere lo scopo prefisso, un evento raro nella maggior parte delle formazioni jazz.
Dal vasto repertorio del gruppo, Sonny ha scelto un programma vario non solo nel tessuto musicale, ma anche ideale ed adatto al gruppo stesso: "Ci stiamo ancora preparando su nuove linee d’improvvisazione, capaci di entusiarmarci (e speriamo anche capaci di entusiasmare il pubblico), ed in questo album ne abbiamo presentata qualcuna, come cambi alterni di ritmica libera, per poi tornare a Without a Song ed a You Do Something To Me, che non vengono eseguite nel modo classico, ma che sono particolarmente sentite dal gruppo; l’insieme e la solistica in God Bless the Child, (un pezzo di Billie Holiday che amo particolarmente perché sottile e delicato) è in contrasto con la solistica del gruppo nel suonare in una determinata ritmica. Per inciso, iniziando in quel modo You Do Something, a differenza di molti altri gruppi il risultato pare essere raffazzonato per via dell’accompagnamento improvvisato. C’è poi una pausa che inizia sulla quarta battuta di una misura anziché sul successivo e più naturale attacco, e la conclusione è una costruzione improvvisata della band che ogni tanto proviamo per dar sfogo allo spirito che ci lega.
Queste sono solo alcune delle tecniche d’improvvisazione che adottiamo, molte delle quali non sono in questo album semplicemente perché esso rappresenta solo l’inizio per una nuova formazione che già possiede un ampio repertorio. Alcune le utilizzeremo ancora e le svilupperemo in futuro, altre forse le scarteremo. Guardo sempre al futuro; se qualcosa oggi non va, non me ne preoccupo, perché so che andrà meglio domani o che si potrà fare qualcosa d’altro; e se quel qualcosa oggi funziona, sento che in futuro potrà trasformarsi in qualcosa di migliore".
Sonny è famoso per le sue vincenti interpretazioni di standards; in quest’album ci sono quattro melodie conosciute e due nuove. Come si è spesso notato, egli non è solo un maestro nell’arte dell’improvvisazione ammirata dai suoi musicisti e dal pubblico, ma esercita anche un grande carisma sugli ascoltatori che si avvicinano al jazz, per il semplice fatto che Sonny è un musicista rispettoso della melodia e della forma di qualsiasi particolare improvvisazione. E mentre da molti viene considerato il più grande maestro di "hard improvisation", la rara bellezza di Where Are You e di God Bless the Child, testimoniano ampiamente la sensibilità e dolcezza delle quali è allo stesso tempo capace.
I due nuovi brani di Sonny contengono non solo il suo potente suono, ma anche un’indagine strutturale. The Bridge, di fatto improvvisata in studio, è composta di due ritornelli; uno che alterna passaggi di 6/8 e 4/4, e l’atro che si muove su quattro quarti. John S., che ha un’inaspettata melodia libera prima e dopo il suo assolo, si struttura su ritornelli di 34 battute. Il meraviglioso assolo di Sonny che nasce da un semplice fraseggio ripetuto, è uno dei più raffinati esempi di improvvisazione su lunga scala nella quale l’interazione della band, assieme alla febbrilità ed alla stessa conformazione, ne è la chiave del successo.
Il chitarrista Jim Hall, che riceve una meritata menzione, è una colonna portante e non solo all’interno del gruppo, ma anche come solista; egli è un musicista straordinariamente sensibile la cui notevole esperienza ha dimostrato la sua prontezza e la capacità di sapersi integrare in un qualsiasi tipo di formazione. Il contrabbassista Bob Cranshow, una specie di scoperta, è l’altro nuovo membro del quartetto col quale Sonny Rollins ha segnato il suo ritorno alla Jazz Gallery. Per quanto riguarda la batteria, sono state operate delle variazioni: H.T. Saunders suona God Bless the Child con estrema sensibilità, mentre Ben Riley si distingue come batterista nel resto dei brani.
Per concludere, non rimane altro che sottolineare il fatto che quest’album non rappresenta soltanto un momento storico, ma anche un superlativo esempio del perché le molte doti di Sonny, come le sue solide basi, il talento, e la lungimiranza, siano le sue più notevoli caratteristiche musicali. Così quest’album non rappresenta solo un luminoso ponte che collega il passato ed il presente di Sonny, ma anche una indubbia promessa per il futuro.
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George Avakian